Un balzo nel passato, ai tempi della Guerra Fredda: le Discovery hanno percorso i tunnel più nascosti di quella che fu una delle basi più segrete realizzata dai sovietici per i propri sommergibili della flotta del Mar Nero, Nel 1953 Stalin approvò la costruzione di una base top secret per sommergibili nucleari, dando il via ai lavori di quella che sarebbe diventata la centrale operativa della temibile Flotta del Mar Nero. Furono necessari nove anni di lavoro per realizzare la nuova gigantesca base, scavata all’interno della montagna prospiciente la città portuale di Balaklava, sulla costa della Crimea ucraina. L’ingresso era mimetizzato e reso invisibile alle incursioni degli aerei spia. Le spesse pareti della struttura le permettevano di resistere ad un attacco nucleare diretto, e la sua capienza poteva offrire ospitalità fino a 3.000 addetti e relative provviste sufficienti per un mese. E, per di più, i grandi sommergibili potevano entrare nella base, ed uscirne, senza riemergere, restando così al riparo da qualsiasi occhio indiscreto. Oggi, quello che fu il sito più segreto ed importante dell’Unione Sovietica ai tempi della Guerra Fredda è divenuto un museo.
Nei quarant’anni di vita operativa della base, gli unici automezzi che potevano accedervi erano i grandi autocarri sovietici ed i loro rimorchi per il trasporto di vettovaglie, attrezzature e missili. Da allora, nessun altro veicolo aveva avuto accesso al sito. Grazie ad un permesso esclusivo, le Discovery hanno percorso, per prime, il labirinto dei suoi tunnel interni, inserendo così nelle 8.000 miglia della spedizione verso Pechino un percorso decisamente unico.
Guidare attraverso l’enorme ingresso ed all’interno dei passaggi scavati nella dura roccia, è stato come vivere un film di James Bond, ma lo scenario che si è aperto agli occhi del Team ha rivelato, in uno straordinario mix di fantasia da romanzo di spie e di duro realismo, il mondo ai tempi della Guerra Fredda; un conflitto nel quale la base segreta Ucraina giocò un ruolo estremamente importante. La guida locale ha illustrato come l’impianto fosse diviso in due sezioni ben distinte dal grande canale principale, lungo un chilometro, che ne intersecava il centro; uno dei lati era dedicato alla vita operativa della base, e l’altra era riservata all’armamento delle testate nucleari.
La guida aveva lavorato nella sezione operativa per cinque anni, con un livello di sicurezza classificato 2, solo un gradino sotto quello massimo; eppure, per tutto quel tempo aveva ignorato l’esistenza della zona “nucleare” che le fu rivelata per la prima volta solo quando, anni dopo, iniziò la sua nuova attività come guida nei tour dei visitatori. “Era parte della nostra cultura, allora, non fare domande su quanto non ci riguardava direttamente. Un detto comune dell’epoca era: meno ne sai, meglio dormi.” Non solo la base era così segreta che anche chi vi lavorava era tenuto all’oscuro di tutto, ma veniva presa ogni precauzione possibile per tenerla perfettamente nascosta agli occhi del mondo.
Per questo nel 1957 Balaklava fu cancellata dalle carte geografiche (per riapparirvi solo nel 1992), ed i familiari degli impiegati che risiedevano nella vicina Sevastopol, anch’essa sotto stretta sorveglianza ed alla quale era possibile accedere solo grazie a speciali credenziali, venivano accuratamente controllati prima di ottenere il permesso di visitare i propri cari. All’interno della base il Team ha dapprima visitato il lato operativo, passando dalla rete di gallerie, fino ad arrivare al bacino di carenaggio, così grande da poter ospitare sommergibili da 100 metri A lato del bacino di carenaggio si apre il canale principale, che ha spazio per sei sommergibili ormeggiati in fila. Questo canale, ricurvo per deflettere gli effetti di qualsiasi esplosione interna alla base, è disseminato di passerelle d’acciaio che corrono ad altezza d’uomo. Non è difficile immaginare le condizioni impressionanti nelle quali si doveva operare quando, in piena attività, tutto intorno al sommergibile ormeggiato nell’acqua scura, l’antro echeggiava di passi frettolosi, dello sferragliare delle attrezzature, del ronzio dei generatori. L’altro lato del canale è ancora più interessante. Anche qui le gallerie d’interconnessione sono curve, per proteggere da eventuali esplosioni, poiché era in quest’area che venivano armati i missili. Il team ha anche visitato il vano dove venivano immagazzinate le parti radioattive degli armamenti. Ora è vuoto, e la sua massiccia porta d’acciaio a rulli è rimasta semiaperta, così come fu lasciata quando il carico letale che conteneva fu rimosso dalle autorità sovietiche. L’epicentro di questa tana sotterranea è la stanza dove erano immagazzinati missili armati.
Oggi appare inoffensiva, ma immaginarla con i suoi 50 ordigni nucleari allineati in bell’ordine fornisce più di un motivo di riflessione. Per finire, la guida ci ha mostrato un semplice sostegno di plastica, simile ad una piccola plafoniera, appeso ad un muro della stanza, contenente un capello umano.
Questo semplice congegno controllava l’umidità dell’ambiente, che doveva essere tassativamente mantenuta al 60%; uno scostamento in più o in meno avrebbe causato un’esplosione in grado di distruggere l’intera base, per non parlare della montagna e della zona circostante. Se il capello iniziava a flettersi, gli ingegneri dovevano intervenire per regolare la ventilazione, e con la massima rapidità. Riemergere alla luce del sole della baia di Balaklava è stato strano quasi quanto lo è stato l’ingresso, ma per ragioni ben diverse. Oggi, al posto della Flotta sovietica del Mar Nero, la baia accoglie un’intera flotta di sfavillanti yacht provenienti da ogni parte del mondo e sulle sue rive una folla di pescatori dilettanti si cimenta in questo sport pacifico, godendosi la brezza ed un paio di birre. E questo, indubbiamente, è un bel passo avanti…
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