La nuova Volvo 760 GLE venne lanciata nel febbraio del 1982 – 30 anni or sono. Non si trattava di una tipica Volvo, eppure era innegabile che fosse una Volvo. Considerata elegante e accattivante per il suo design particolare, venne accolta con i favori del pubblico. La 760 è poi diventata l’automobile che ha realmente ‘salvato’ Volvo Car Corporation in quegli anni, aprendo la strada a quella che è oggi la Casa svedese.
Quando vennero stilati i primi progetti della nuova auto, attorno al 1975, l’intera industria automobilistica stava attraversando un periodo particolarmente difficile, e Volvo non faceva eccezione. La prima crisi petrolifera si era appena conclusa e per Volvo stavano sorgendo problemi legati alla qualità costruttiva della nuova 240. L’azienda attraversava inoltre un periodo molto difficile a livello economico. Costruire automobili nello stabilimento di Torslanda era costoso, anzi, troppo costoso, ed esportarle non conveniva più.
Alla serie 200 sarebbe presto stata affiancata una nuova generazione di automobili più piccole prodotte dalla consociata olandese Volvo Car BV, ma al tempo stesso c’era un disperato bisogno di un nuovo modello per gli anni ’80 in grado di realizzare elevati volumi di vendite; di un’automobile progettata e realizzata per soddisfare le crescenti esigenze di maggiore efficienza dei consumi, controllo delle emissioni e sicurezza che emergevano con forza sempre maggiore. Si rivelava altrettanto difficile prevedere che tipo di automobile avrebbero desiderato i clienti degli anni ’80.
La 760 è stata concepita in un periodo in cui le condizioni mutavano quasi quotidianamente e in azienda circolavano diverse opinioni fra loro contrastanti sulla nuova automobile. Internet non c’era e non era possibile navigare in rete per ampliare le proprie vedute, ma Volvo utilizzò il migliore strumento allora disponibile, un’analisi molto approfondita del contesto del momento. Attenti studi e una notevole flessibilità mentale avrebbero condotto il team sulla strada giusta e su quella strada lo spazio per gli errori sarebbe stato ridottissimo, se non addirittura nullo.
Più auto con minor peso
Venne deciso che il lavoro di sviluppo del nuovo progetto veniva guidato da concetti quali l’affidabilità, l’efficienza dei consumi, la durata, la funzionalità, la rumorosità ridotta, la linea e le prestazioni, in quest’ordine. Venne inoltre deciso che la nuova auto avrebbe avuto la trazione posteriore e che il passo sarebbe stato di 10 cm (4″) più lungo rispetto alla 240. Inoltre, la vettura sarebbe stata leggermente più corta della 240, sebbene larga uguale e più leggera di 100 kg. Per ragioni di costo, gran parte del contenuto tecnico sarebbe stato mutuato dalla serie 200, con qualche modifica di scarsa rilevanza. Ne sono un esempio le trasmissioni, le sospensioni e molte altre soluzioni di sistema. Il design esterno, tuttavia, doveva essere completamente nuovo.
Il progetto, noto come P31, venne modificato più volte. Le specifiche tecniche vennero finalizzate più o meno nello stesso momento in cui venne ‘congelato’ il design definitivo. La scelta della linea giusta si rivelò tanto difficile e importante quanto quella dei contenuti tecnici più adatti da inserire nella vettura.
L’introduzione, che era stata inizialmente prevista per il 1980, venne posticipata al 1981.
La linea squadrata diventa un concetto a sé stante
Le proposte stilistiche da prendere in considerazione erano numerose, molte erano state presentate da designer esterni. La maggior parte di esse riguardava berline, ma il responsabile del design di Volvo, Jan Wilsgaard, propendeva più per una due volumi. Gli addetti dell’area finance, d’altro canto, insistevano per una linea con superfici dritte e piatte e linee squadrate, preferibilmente con angoli a 90°, allo scopo di ridurre i costi di produzione il più possibile.
Alla fine, la partita sembrava doversi giocare fra la proposta preferita dalla divisione marketing e l’alternativa proposta dalla divisione ingegneristica, quando Wilsgaard – che a volte sapeva essere molto misterioso – inaspettatamente propose un candidato del tutto sconosciuto. Si trattava di un progetto che abbinava le caratteristiche dell’auto in modo diverso: un’automobile con una sezione posteriore allungata nel tipico stile di una berlina, con fiancate diritte e una ‘coda’ troncata bruscamente, una sorta di cut-back. Questo fu il modello che rimase fino alle discussioni finali, sebbene poi venne approvata una versione leggermente modificata dello stesso: una berlina con una vetratura quasi verticale rispetto alla scocca e una sezione posteriore squadrata. Le fiancate dritte creavano all’interno un senso di spaziosità che risultava anche decisamente confortevole. E, soprattutto, l’auto aveva un forte carattere.
Ben presto la scelta si rivelò giusta. Fra i tanti modelli arrotondati e dalle linee curve, più simili a un porta-sapone, proposti dalle altre case automobilistiche, la linea squadrata della nuova Volvo ebbe un enorme successo e presto divenne una sorta di tratto tipico della casa svedese. Durante questo processo selettivo si rivelò prezioso l’impiego delle cosiddette product clinic, che Volvo utilizzava per la prima volta e attraverso le quali venivano analizzate le reazioni delle persone alla nuova automobile senza che venisse rivelato alcun dettaglio su quest’ultima, come ad esempio la marca, ecc. Le reazioni non furono completamente positive, ma negli Stati Uniti, il principale mercato previsto per la nuova vettura, questa ottenne immediatamente un ottimo riscontro in termini di gradimento.
A parte il design, gran parte del lavoro di sviluppo e del progetto nel suo complesso venne influenzato dalla nuova legislazione e dal programma sui motori. Nel reparto ingegneristico c’erano ancora le lavagne, ma sempre più frequentemente venivano utilizzati i computer per elaborare modelli di calcolo avanzati, soprattutto per lo sviluppo dei sistemi di sicurezza. A questo punto il progetto era entrato nella fase conclusiva e all’inizio del 1978 venne ironicamente ribattezzato ‘1155′, ovvero ‘dodici meno cinque’, per indicare che era ora di sbrigarsi.
La VCC come anticipazione della 760
Molte cose accaddero prima che gli anni ’70 lasciassero il passo agli ’80. Nella primavera del 1978 fu approntato il primo prototipo guidabile e vennero rapidamente portati a termine numerosi veicoli di prova. Si diede inizio alle minuziose e lunghe attività di test sul campo e le automobili percorsero un totale di 3.200.000 km in tre continenti, nei climi più caldi e più freddi possibili, per consentire di mettere a punto l’auto sin nei minimi dettagli.
Nel 1979, la divisione auto di AB Volvo venne trasformata in una società a sé stante – Volvo Car Corporation – con Hakan Frisinger come Amministratore Delegato e nel 1980 fu presentata un’interessante concept car che era più che un semplice accenno a ciò che sarebbe arrivato un anno dopo. La Volvo Concept Car era una versione aggiornata della cut-back di Wilsgaard, il modello che aveva effettivamente ispirato la 760. Sebbene più corta nella sezione posteriore rispetto alla 760, era quasi identica a quest’ultima.
La VCC è oggi esposta presso il Museo Volvo. L’acronimo richiamava anche le iniziali del nome dell’azienda, Volvo Car Corporation. Per quanto riguarda i contenuti tecnici, la VCC montava una sospensione posteriore di tipo constant-track che sarebbe stata riproposta nell’imminente 760, mentre sotto al cofano pulsava una unità turbo alimentata a gasolio che mostrava chiaramente l’enorme potenziale futuro del principio del motore a compressione.
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